I docenti della Turoldo raccontano

Il progetto Qui Abito non si rivolge solo agli studenti, si rivolge anche agli insegnanti. I docenti dell’IC Turoldo che sono stati coinvolti nel progetto in modo attivo sono Carlo Addeo, Emma Agostini, Grazia Amendola, Chiara Bongiovanni, Maria Grazia Lomartire, Nicola Mendicino, Maria Giuseppa Placida.

Pochi di loro abitano nel quartiere in cui lavorano, le Vallette. Alcuni infatti non ne conoscevano la storia, come afferma Maria Pia Placida “nonostante lavorassi ormai da 15 anni nella scuola del quartiere, non mi ero mai addentrata al suo interno per conoscerne la storia vera dei cittadini”. Qui Abito poteva essere la giusta occasione per approfondire la conoscenza del quartiere, e così è stato, continua la docente “era venuto forse il momento di saperne qualcosa in più, quindi ho aderito al progetto”.

Grazia Amendola ha partecipato al progetto proprio per questo, come lei ci racconta “non essendo di Torino credo sia fondamentale conoscere il quartiere Vallette non soltanto a livello storico, ma anche sociale, umano, interagendo con il posto e scoprendone la sua storia e le sue dinamiche. Attraverso la formazione iniziale del progetto Qui Abito ho avuto la possibilità di entrare a stretto contatto con questa realtà. Quindi è stato un modo per avvicinarmi anche ai ragazzi e alle loro storie, perché il lavoro di docente non è soltanto quello di formarli scolasticamente e didatticamente ma lasciare un’impronta educativa ed umana”.

Le Vallette è un quartiere della periferia nord ovest di Torino con una storia particolare, negli anni molti hanno avuto paura di questo quartiere per la fama negativa, costruitasi su pregiudizi e stereotipi legati al passato. Emma Agostini, insegnante di lettere e referente scolastico del progetto, lavora alla scuola Turoldo da vent’anni “sono arrivata in questa scuola un po’ per caso e ci sono rimasta. È un territorio complesso, con tante difficoltà ma anche tanti punti di forza. Sembra di vivere in un paese in cui tutti si conoscono”.

All’interno del corso di formazione i docenti hanno potuto prendere parte alla visita guidata delle Vallette, tenuta dal Centro di Documentazione Storica della Circoscrizione 5. Maria Lomartire ci racconta come è nata l’idea del laboratorio proprio a partire dal tour nel quartiere “camminando per le strade del quartiere Vallette insieme ai ragazzi, percependo l’inadeguatezza di alcuni spazi pubblici e confrontandoci, siamo arrivati a capire la necessità di dare un nuovo volto alle zone coinvolte. Dunque, in accordo con i docenti del Politecnico di Torino abbiamo portato avanti l’ideazione e la costruzione di un plastico per simulare la possibilità di un nuovo spazio pubblico finalizzato per i giochi all’aperto”.

Il laboratorio avviato dalle docenti Chiara Bongiovanni e Emma Agostini con le rispettive classi ha voluto mettere i ragazzi a diretto confronto con chi abita nel quartiere, coinvolti in qualità di testimoni. Con grande sorpresa degli studenti, i testimoni nelle loro video-interviste hanno scardinato molti degli stereotipi legati al quartiere. “La nostra è una scuola che sta perdendo alunni” ci racconta Emma, “le motivazioni sono molteplici, e non per ultimo il pregiudizio che molte famiglie hanno verso la scuola media. Le interviste che abbiamo effettuato invece mostrano un quadro molto diverso. I vissuti, le sensazioni e le emozioni dei testimoni ci mostrano un territorio magari inizialmente non scelto ma poi amato e voluto. L’affetto che traspare dalle parole degli intervistati affascina”.

Continua Maria Pia Placida “con il lavoro successivo fatto con i ragazzi e le loro interviste, abbiamo conosciuto e rivissuto immagini e storie passate, neppure tanto lontane o tanto diverse dal nostro vissuto precedente, ma tutte insieme ci hanno raccontato di un quartiere giovane, vivo che solo le persone che lo hanno vissuto dall’interno, potevano raccontarci. I nostri ragazzi hanno dimostrato tanto impegno e, oserei dire…professionalità”.

Il laboratorio deciso da Grazia Amendola aveva invece lo scopo di far emergere la creatività dei ragazzi realizzando un murale che raccontasse il quartiere attraverso i loro occhi.  “Abbiamo deciso di realizzarlo su tutto il primo piano perché avevamo dei muri molto fatiscenti e quindi era un modo per personalizzare un luogo in cui i ragazzi passano gran parte del loro tempo. Il loro impegno ha fatto si che tutto si realizzasse, in modo molto disinvolto, c’è stata una partecipazione molto attiva. Questa è la bellezza di fare dei progetti con i ragazzi, si ha un’idea di come si dovrebbe realizzare e poi si svolge in tutt’altro modo, molto spesso in maniera positiva”.

Il risultato dei laboratori è stato inaspettato. Il lavoro è stato intenso, “onestamente all’inizio dell’anno ero un po’ preoccupata perché mi sembrava un lavoro enorme e non avevo così chiara la strada che dovevamo percorrere” dice Emma Agostini. Tuttavia “i ragazzi hanno lavoro con interesse e impegno in tutte le fasi. Sono stati molto maturi e consapevoli dell’importanza del lavoro. Sempre puntuali nel portare il materiale necessario per le riprese”. Per quanto riguarda i laboratori di progettazione e di murales, i ragazzi, dapprima poco motivati e in seguito coinvolti sempre più, hanno potuto far emergere la creatività uscendo dagli schemi preordinati, imparando anche a lavorare in gruppo.

Le attività proposte avevano lo scopo di raccogliere e interpretare le memorie del quartiere. Qui Abito è un progetto di public history svolto in sinergia tra studenti, insegnanti, abitanti del quartiere e realtà del territorio. Come osserva la docente Chiara Bongiovanni, i ragazzi sono stati colpiti dalle storie del quartiere, questo solitamente non avviene studiando la storia solo dai libri. Averla toccata con mano ha portato a una maggiore consapevolezza del territorio in cui si è cresciuti: “scegliere le persone da intervistare, selezionare le domande, valutare l’importanza dei contenuti, portare fotografie, analizzarle guidando i ragazzi a comprendere il procedere dell’indagine storica, il concetto di fonte e anche a sperimentare con mano qualcosa di molto semplice, ma per loro inizialmente non ovvio. Dopo che hai fatto la storia di un luogo o di un periodo, ne sai più di prima, lo conosci in modo diverso e di conseguenza ti appartiene di più. La storia moltiplica l’appartenenza dandole un significato”.